lunedì 5 dicembre 2011

LA COMUNICAZIONE DISFUNZIONALE IN FAMIGLIA E LA FORMAZIONE DEL SINTOMO PSICOSOMATICO





Il primo ASSIOMA DELLA COMUNICAZIONE : E’ impossibile non comunicare

Ogni comportamento è una forma di comunicazione in quanto l’impossibilità di non comunicare rende comunicative tutte le situazioni che coinvolgono due o più persone.
I sintomi psicosomatici che possono essere presi in considerazione e  che hanno origine nel sistema familiare riguardano: anoressia nervosa, bulimia nervosa, obesità,  asma, enuresi ecc
Il sistema famiglia è di sicuro il più importante contesto relazionale di ogni individuo e il sintomo che un figlio sviluppa al suo interno può essere la vera manifestazione di una COMUNICAZIONE PATOLOGICA E DISFUNZIONALE
 “I disturbi psicosomatici possono essere adattivi ed appropriati se visti all’interno del sistema di cui l’individuo fa parte, sistema che per lui è di importanza vitale”.
Ecco perché il disturbo psicosomatico può essere compreso e riletto alla di quel contesto relazionale  e
comunicativo..
All’interno del contesto familiare come possiamo rileggere il significato di un sintomo psicosomatico e della sua evoluzione??
La scelta (inconscia) del sintomo da parte del paziente designato, si basa in realtà su una necessità sottostante di mantenere l’equilibrio famigliare. Questo ci permette  di come la comunicazione umana oltre ad avere una componente verbale ed una non verbale, può esprimersi sottoforma di una patologia. Terapeutico sarà quindi ridare un senso al sintomo ridefinendolo come espressione di un disagio che coinvolge tutti i membri della famiglia. Sotto questa prospettiva il bisogno di cura da parte del paziente dovrà essere interpretato dal terapeuta  non  solo sulla malattia del paziente designato ma su tutte le relazioni che si svolgono nel sistema familiare
Lo scopo della terapia è modificare le regole "disfunzionali" usate dalla famiglia al fine di permettere un funzionamento che non richieda manifestazioni psicopatologiche di uno o più membri della famiglia. Il sintomo ha sempre una doppia funzione, quella di conservare il sistema e quella di spingerlo al cambiamento. Ed è proprio facendo leva su quest'ultima che il terapeuta può aiutare la famiglia a mettere in atto il suo processo di cambiamento.

lunedì 31 ottobre 2011

DISTURBO PSICOSOMATICO E FAMIGLIE PSICOSOMATICHE

La psicosomatica è una branca della psicologia medica che mette in relazione la mente con il corpo, ossia il mondo emozionale ed affettivo con il soma (il disturbo), occupandosi nello specifico di rilevare e capire l'influenza che l'emozione esercita sul corpo.
I disturbi psicosomatici sono suddivisibili in due gruppi:
1) I disturbi psicosomatici primari
2) I disturbi psicosomatici secondari

- Nei disturbi psicosomatici primari è presente, all’origine, una disfunzione biologica. L’elemento psicosomatico sta nell’aggravamento del sintomo già esistente. Ad esempio, un bambino che soffre di asma può avere dei gravi e ricorrenti attacchi d’asma in risposta a stimoli emotivi più che a quelli fisiologici. In questi casi si può parlare di  “Asma psicosomatico”. Questo non implica in nessun modo un’eziologia psicologica per il disturbo originale.

- Nei disturbi psicosomatici secondari, invece, non viene dimostrata nessuna disfunzione biologica alla base dei sintomi. L’elemento psicosomatico viene reso evidente nella trasformazione dei conflitti emotivi in sintomi somatici. Questi sintomi si possono fissare in una malattia grave e debilitante come l’anoressia o in sintomi meno gravi, ma comunque fastidiosi, come la colite spastica, la gastrite cronica ecc.                             

Esempi di Sintomi Psicosomatici

  • Disturbi del comportamento alimentare anoressia bulimia binge eating.
  • Disturbi a carico del sistema gastrointestinale: colon irritabile; gastrite cronica; acidità gastrica; stipsi; nausea; vomito; diarrea
  • Disturbi a carico del sistema cutaneo: psoriasi; sudorazione profusa; eritema pudico (rossore da emozione); dermatite atopica; orticaria; secchezza della cute e delle mucose.
  • disturbi a carico del sistema muscolo scheletrico: cefalea tensiva; cefalee; torcicollo; lombalgie; cervicalgie.
  • Disturbi a carico del sistema respiratorio: asma bronchiale (frequente soprattutto nei bambini).
  • Disturbi a carico del sistema cardiovascolare: aritmie; ipertensione arteriosa essenziale; crisi tachicardiche; la cefalea emicranica

La Psicoterapia Relazionale e I Disturbi psicosomatici

Il modello sistemico pone l’accento sull’osservazione dell’individuo all’interno del contesto nel  quale è inserito (Familiare, organizzativo, lavorativo e di coppia) . L’unità psicologica non è l’individuo, ma l’individuo nei suoi contesti sociali significativi. Certi tipi di organizzazioni familiari sono correlate allo sviluppo e al mantenimento di sindromi psicosomatiche in uno dei suoi membri (Per es Figli). I sintomi di quest’ultimo giocano un ruolo importante, a sua volta,  nel mantenimento dell’equilibrio familiare.
In particolare, le famiglie con pazienti psicosomatici sono caratterizzate dall’impossibilità di esplicitare e far emergere i conflitti e le tensioni emozionali ad essi collegati. L’impossibilità di esprimere le proprie emozioni non è legata ad una caratteristica di personalità dell’individuo singolo , ma è una qualità del sistema a cui appartiene, la sua famiglia, a cui è costretto a conformarsi.
Il sintomo psicosomatico,in tutte le sue forme e manifestazioni esprime quindi un disagio nella difficoltà di verbalizzare gli stati emotivi più interni, perché in questi sistemi (famiglie) le emozioni vengono accuratamente selezionate per evitare tensioni e conflittualità e mantenere allo stesso tempo una pseudo armonia del sistema familiare e un rigido equilibrio.
La  terapia deve porsi come obbiettivo  il cambiamento  non solo dell’individuo ma di tutto il suo sistema familiare( e ciò è  realizzabile anche attraverso il cambiamento del singolo individuo che viene in un contesto di terapia)

lunedì 26 settembre 2011

 
 
 
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Le iscrizioni scadono il 14 Ottobre 2011

mercoledì 7 settembre 2011

LA SINDROME DI MUNCHAUSEN PER PROCURA, cos'è? e chi coinvolge?

LA SINDROME DI MUNCHAUSEN PER PROCURA
L’espressione "Sindrome di Munchausen" fu utilizzata per la prima volta da Asher nel 1951 sulla rivista Lancet, per indicare soggetti che simulavano dei sintomi fisici o se li provocavano volontariamente sottoponendosi a interminabili trafile diagnostiche e persino a interventi chirurgici multipli anche invasivi.

La patologia nasce quasi sempre dall’esigenza del paziente di attrarre l’attenzione su di sé, di essere oggetto di cura da parte dei familiari e di “esistere”, agli occhi del proprio mondo relazionale, come "un eroe della malattia".

Una variante particolarmente perniciosa della malattia si verifica quando il paziente determina la sintomatologia patologica in un'altra persona, ed il più delle volte si tratta di madri nei confronti dei figli.

In questo caso la sindrome prende il nome di Sindrome di Munchausen per procura o di Polle dal nome vero del figlio di Munchausen morto in tenera età in circostanze misteriose.

L'espressione "Sindrome per procura (MSbP)" fu usata per la prima volta nel 1977 sempre sul Lancet dal pediatra inglese Meadow, per descrivere madri che simulavano o provocavano malattie nei figli allo scopo di attrarre su di sé l’attenzione.

Tale patologia rientra tra le forme di abuso all'infanzia, come patologia delle cure (incuria, discuria ed ipercuria). La sindrome per procura è la più grave forma di ipercura per la quale il bambino è sottoposto a continui e inutili accertamenti clinici e cure inopportune conseguenti alla convinzione errata e delirante del genitore che il proprio figlio sia malato. Si tratta di un serio disturbo di personalità nel quale i soggetti affetti dal disturbo spostano sui figli la loro convinzione di malattia, arrivando a sottoporli a continui accertamenti medici e cure inutili, giustificate esclusivamente dalle fantasie del genitore e dalle sue conoscenze mediche.

In queste situazioni inevitabilmente il bambino tende a colludere con il genitore, simulando uno stato di malattia: in buona sostanza la malattia diventa per il bambino una modalità per superare la paura di essere abbandonato o rifiutato, perchè il genitore continuerà ad occuparsi di lui finchè presenterà i sintomi, mentre il timore è che la guarigione coincida con un abbandono.

In tale condizione il bambino arriva a perdere la capacità di percepire correttamente le sensazioni che gli provengono dal corpo, fino a non essere più in grado di distinguere se i suoi sintomi sono reali, immaginati da lui o indotti dagli altri, con lo strutturarsi, come conseguenza, di un Sè fragile ed indifferenziato.

Le conseguenze più gravi di questo tipo di abuso emergono nel momento in cui il bambino cresce e diventa adolescente, entrando in una fase della vita che per definizione porta con sè una serie di problematiche legate al corpo. Il rischio è quello di continuare a percepire il proprio corpo come malato e di evolvere verso strutture psicotiche in cui sia centrale il sintomo dismorfofobico o quello ipocondriaco.

martedì 30 agosto 2011

"Amare se stessi è l'inizio di una storia d'amore lunga tutta una vita." O. Wilde

Il cammino dovrebbe iniziare trovando noi stessi.
Spesso invece abbandoniamo noi stessi per intraprendere una ricerca affannosa e faticosa degli ALTRI. Ci affanniamo per trovare la loro approvazione, i loro giudizi;  delle volte riusciamo per sino a cambiare noi stessi per gli altri,  per poter piacere di più, per essere accettati o spesso solo per essere "VISTI".
Ci dispiace quando questo non accade, quando gli altri con il  loro atteggiamento ci squalificano e mostrano la loro disapprovazione verso di noi o peggio ancora il loro disinteresse. Abbiamo cambiato tutto di noi per essere accettati e invece??? NULLA!!!!
Ma non notiamo una cosa importante: In questa ricerca spasmodica di approvazione, di bisogno e di accettazionenoi per prima cosa abbiamo tradito NOI STESSI!!!!.  In questo viaggio di duro lavoro verso L'ALTRO ci siamo dimenticati di NOI!.
Ci siamo tanto affatticati a cercare l'approvazione degli altri che abbiamo "scordato" DI ACCETTARE NOI STESSI!!!!!
E come possono gli altri vederci, amarci, accoglierci se prima di tutto non lo facciamo noi.
Chi è quella persona che ci appare la mattina allo specchio??' è una sagoma che stiamo modellando sui modelli degli altri ma che però non ha una sua vera esistenza. Viaggia, cammina, mangia, si veste, si pettina  ma lo fa per gli altri non per se stesso. E allora chi è quella persona che vediamo allo specchio la mattina??? E' lei che dovremo accettare, coccolare  ma sopratutto che dovremo imparare a CONOSCERE e AMARE.
Ed è solo conoscendo se stessi e quindi accettandoci che impareremo ad amarci e da li non avremo più bisogno dell'approvazione degli altri, del loro giudizio, perchè saremo riusciti a conquistare l'amore più grande quello verso noi stessi e paradossalmente saranno gli altri ad unirsi spontaneamente al nostro viaggio.
E' DA NOI CHE INIZIA IN NOSTRO CAMMINO

Dott.ssa Fabiola Fanzecco

sabato 20 agosto 2011

L'AUTOSTIMA, ma cos'è esattamente? e perchè quando è bassa ci crea problemi?



Quante volte abbiamo sentito parlare di AUTOSTIMA, medici, psicologi, professori ed anche amici, parenti e noi stessi spesso usiamo questo termin. Ma  quanto sappiamo esattamente dell'AUTOSTIMA e perchè spesso molti problemi soggettivi vengono associati ad un autostima bassa??
L’autostima è la valutazione che ci diamo, il nostro modo di viverci ed è stata definita in tante maniere, come:  "concetto di sé", "abilità personale", "autopercezione". Quante volte ci sarà capitato di sentirci dire "non hai fiducia in te", "non sei consapevole delle tue potenzialità", oppure "ma chi ti credi di essere"… tutti problemi di autostima!
L’autostima viene determinata da informazioni oggettive e soggettive, riferite a tre tipi di sé:
  • sé reale: è la valutazione oggettiva delle nostre competenze
  • sé percepito: è la nostra valutazione del sé reale. Difficilmente sé percepito e sé reale coincidono, si rischia sempre di fare "errori di valutazione"
  • sé ideale: è come desideriamo essere. Esso è influenzato dalla cultura e dalla società.
I problemi legati all’autostima nascono dalla discrepanza tra sé ideale e sé percepito. 
Se abbiamo la tendenza a svalutarci, sicuramente ci sentiremo distanti da come invece desideriamo essere, il nostro modello ideale ci appare troppo lontano e irraggiungibile, e questo provocherà inevitabilmente profonda sofferenza .

Il concetto di autostima si riferisce a differenti ambiti e contesti e in base al contesto può cambiare la nostra autostima:
Contesto
  • Sociale: è in relazione alla cerchia di amici e conoscenti, al rapporto col partner.
    Si tratta di come stiamo quando siamo con gli altri, se ci sentiamo approvati, sostenuti, aiutati…
  • Scolastico/lavorativo: quanto ci sentiamo bravi nell’intraprendere un’attività e i vantaggi che questo comporta: buoni voti, carriera, soddisfazione…
  • Familiare: è influenzata dalla sicurezza affettiva.
    Nei bambini è saliente il rapporto madre-figlio e le valutazioni dei genitori
  • Corporeo: è legata all’aspetto fisico e alle prestazioni fisiche. 
L’autostima, influenza l’autoefficacia, cioè la consapevolezza di poter raggiungere obiettivi, influenza il tono dell’umore, le relazioni affettive, in generale, influenza il successo nella vita e le scelte di ogni tipo.
Alcune malattie psichiche vanno proprio ad intaccare l’autostima, basti pensare alla depressione, a causa della quale il paziente si disprezza e si svaluta, o la mania, per cui il malato si sente una persona molto importante.

Lo psicoterapeuta, spesso si trova prorpio pazienti i sui problemi sono legati ad una bassa (o al contrario troppoa alta) Autostima. Quando questo accade il terapeuta aiuta il paziente con problemi legati all’autostima con un apposito training, decidendo su quale dei tre aspetti del sé risulti più opportuno lavorare:
  • I pazienti che necessitano di un intervento sul sé reale, sono in genere persone con poche competenze, è bene insegnare loro abilità di comunicazione, risolvere problemi… insomma, sviluppare al meglio le loro potenzialità.
    Pensiamo al caso di un ragazzo molto timido che pensa di non piacere alle ragazze: l’intervento sarà volto a migliorare le sue competenze sociali per gestire con successo i rapporti interpersonali.
  • Quando vi è la tendenza a svalutarsi eccessivamente, è meglio intervenire sul sé percepito aiutando la persona ad esaminare obiettivamente le proprie competenze, riportando fatti che vadano a contrastare le false credenze.
    Ad esempio, un’anoressica che rifiuta di mangiare perché si vede grassa necessita di un intenso lavoro sulla corretta percezione dell’immagine corporea.
  • Meglio concentrarsi sulla correzione del sé ideale qualora il paziente voglia raggiungere dei traguardi per lui davvero eccessivi.
    Si tratta di aiutarlo a capire da dove provengono i suoi ideali e aiutarlo a ridimensonarli, come nel caso di una teen-ager che si sente fallita perché vorrebbe fare la modella ma è troppo bassa. 
SE HAI DOMANDE E CURIOSITA' SU AUTOSTIMA E PROBLEMI A ESSA COLLEGATI INVIA UNA MAIL A:  f.fpsico@tiscali.it

    martedì 9 agosto 2011

    LA DISMORFOFOBIA: cos'è e che ripercussioni può avere?

    La dismorfofobia è la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto esteriore, causata da un'eccessiva preoccupazione della propria immagine corporea.
    La caratteristica essenziale della dismorfofobia è la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico, che può essere totalmente immaginario, oppure, se è presente una reale piccola anomalia fisica, la preoccupazione del soggetto è di gran lunga eccessiva.
    La gran parte dei soggetti con questo disturbo sperimentano grave disagio per la loro supposta deformità, descrivendo spesso le loro preoccupazioni come “intensamente dolorose”, “tormentose”, o “devastanti”. I più trovano le loro preoccupazioni difficili da controllare, e fanno pochi o nessun tentativo di resistervi. Come conseguenza, essi spesso passano molte ore al giorno a pensare al loro “difetto” e a come porvi rimedio (talvolta ricorrendo a chirurgia estetica) al punto che questi pensieri possono dominare la loro vita. I sentimenti di  vergogna per il proprio “difetto”, possono portare all’evitamento delle situazioni di lavoro, scuola o di contatto sociale. Questa fobia si osserva principalmente negli adolescenti, di entrambi i sessi ed è strettamente legata alle trasformazioni dell'età puberale. Consiste, come dice la parola, nel timore di non avere una buona forma, un buon aspetto, nella paura insomma di non essere "normali" per quanto riguarda l'estetica del corpo. Se queste fobie riguardano soggetti adulti la cosa è più grave, perché con la fine dell'adolescenza la persona dovrebbe acquisire un senso di fiducia in se stessa tale da consentirle la possibilità di relazionarsi armonicamente con gli altri, senza essere afflitta da complessi di inferiorità legati all'aspetto fisico.
    La dismorfofobia e l’anoressia:
    Uno dei vissuti più angoscianti delle ragazze anoressiche o bulimiche, è legato ad una errata percezione del proprio corpo, che viene vissuto come sgradevole e perennemente inadeguato.
    L'inadeguatezza potrebbe rispecchiare in parte l'esigenza di conformarsi agli standard proposti dalle tendenze della moda, ma l'inadeguatezza più dolorosa è rispetto al proprio ideale di corpo, in altre parole rispetto a ciò che si vorrebbe essere.
    I disturbi del comportamento alimentare sono spesso associati alle DISMORFOFOBIE, anche se non è ancora chiaro il rapporto di causa-effetto tra i due fenomeni, ovvero non è chiaro se sia la dismorfofobia a causare il disturbo del comportamento alimentare o viceversa.

    I Disturbi del comportamento alimentare

    L'anoressia mentale e il sistema familiare della paziente Anoressica




    L’anoressia mentale è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da diversi fattori tra loro correlati:

    - un fattore psico-biologico individuale poichè si tratta di un disturbo che investe soprattutto l’adolescenza, età in cui avvengono profonde trasformazioni psichiche e fisiche, e che ha una maggiore incidenza nel sesso femminile rispetto a quello maschile;

    - un fattore familiare poichè le famiglie di cui le pazienti anoressiche fanno parte presentano modalità e dinamiche relazionali comuni;

    - un fattore socio-culturale poichè l’anoressia prevale nettamente nelle società del benessere economico mentre è quasi sconosciuta nel Terzo Mondo.

    Di questi fattori, quello familiare gioca un ruolo importante poichè la famiglia è il contesto primario di apprendimento e di esperienza per l’individuo e rappresenta un terreno dove sviluppare e fallire i primi movimenti verso l’autonomia e verso l’acquisizione dell’identità. Le difficoltà relazionali ed emotive che nascono all’interno della famiglia possono favorire l’insorgere del sintomo anoressico e, quindi, legare circolarmente il paziente e il suo sintomo al sistema familiare.

    In quest’ottica, l’estrema protesta dell’anoressica ed il suo rifiuto ostinato del cibo sono, spesso, tentativi disperati di differenziarsi da un sistema familiare rigido i cui i confini tra gli individui sono poco marcati ed in cui lo spazio personale, scarsamente rappresentato, non facilita il processo di individuazione del soggetto.

    L’intervento psicologico dell’anoressia mentale, secondo l’ottica sistemico-familiare, si basa sul presupposto che ciascun fattore (pscio-biologico individuale, familiare e socio-culturale) assuma un ruolo importante nella formazione del sintomo anoressico e che uno solo, preso singolarmente, non sia sufficiente a giustificare l’insorgenza di tale disturbo che è, invece, il risultato della loro correlazione ed influenza reciproca.